> TRADIZIONE ANDINA

Curare l’anima meditando tra i menhir

Lo psicoterapeuta Antonio Pala illustra una teoria che ha radici antiche tra i sentieri archeologici delle Ande.

«Da certi luoghi emana un’energia che può avere effetti benefici»
Curare il corpo a partire dallo spirito. Ristabilire un equilibrio interiore e migliorare così le relazioni con gli altri. Prendere in mano il proprio destino, facendosi aiutare dalle energie della natura e degli uomini che ci hanno preceduto.
Per esempio, praticando la meditazione andina fra i menhir di Goni. È la proposta che Juan Nunez del Prado, antropologo peruviano, maestro della tradizione Inka ha fatto la settimana scorsa a 16 allievi. È ormai la quinta volta che lo sciamano viene in Sardegna.
Ai suoi corsi partecipano curiosi, appassionati di esoterismo, ma anche pediatri, psicologi, psichiatri, omeopati.
In sintesi estrema, nella tradizione degli indios Q’ero tutto ciò che esiste è energia fine (leggera) o pesante. In sé nulla è negativo, ma l’accumulo di energia pesante può portare corti circuiti spirituali con effetti sulla psiche e sul corpo: le nevrosi o le malattie. L’uomo può invece conservare la salute mantenendo se stesso in equilibrio con l’energia del cosmo. Una teoria antica e poetica.
Ma ha un fondamento scientifico? Può essere una proposta valida per combattere i molti e diversi malesseri interiori?
Ne è certo Antonio Pala, 37 anni, psicoterapeuta sassarese con studio a Cagliari e a Roma. È lui a organizzare i seminari sardi sul sentiero andino
Laurea in Psicologia (l’orientamento di base è junghiano), specializzato in medicina cinese (Quigong) e in agopuntura (ha studiato nello Sri Lanka), kriyaban (cioè praticante elevato di yoga) della Self-Realization Fellowship, Pala tiene un corso su “Sciamanesimo, meditazione, alchimia e psicoterapia” nel corso di laurea in Psicologia della Università romana della Sapienza.
«La pratica professionale – sostiene – mi ha insegnato che in determinate condizioni è impossibile la guarigione se si prescinde da fattori normalmente non contemplati nelle prassi terepeutiche classiche».
Perché una meditazione nei siti archeologici? 
«Perché è un modo di fornire alle persone gli strumenti per non dipendere da altri. Molte psicoterapie durano a lungo perché tieni il paziente sotto il tuo controllo. Il mio obiettivo è renderlo indipendente al più presto, sempre che non siano presenti elementi e contenuti che non può decodificare e trattare per motivi inconsci. E nella cultura Inka l’iniziato intraprende un suo percorso, non segue un maestro, pratica insieme con gli altri.
Ma perché nei nuraghi o a ridosso dei menhir? 
Perché i luoghi hanno una funzione, emanano una energia che può essere misurata. In Sardegna lo si sta facendo, ci sono luoghi che hanno risonato come se fossero radioattivi, ma naturalmente non lo sono. Sono carichi di energia. I nuraghi venivano costruiti in luoghi dove sono presenti campi geomagnetici importanti.
Ma che influenza può avere questo sugli esseri umani? 
Ormai è acquisito che noi siamo energia. Siamo fatti di molecole, di atomi, di quanti. Tutto ciò che facciamo o modifichiamo è energia. Le parole sono energia, i pensieri sono energia. E noi non siamo separati da ciò che ci circonda. La psicoterapia olistica considera la persona a 360 gradi, non scinde la mente dal corpo né dall’ambiente. Perciò si cura degli squilibri energetici.
Un esempio?

Nei pazienti affetti da tumori, ci sono spesso delle costanti: condizioni di vita stressante, un lavoro che affatica, una relazione di coppia insoddisfacente.

Perché funzionano le pratiche sciamaniche? 

È un meccanismo psicofisiologico: siamo un campo magnetico e possiamo entrare in contatto con altri campi magnetici che ci permettono di eliminare scorie e di assumere energie positive.
Da luoghi e persone particolari? 
Da luoghi particolari e da persone già consapevoli di energie che tutti possediamo. Questi sono fenomeni studiati. Quando c’è passaggio di energia da una persona all’altra, per esempio, possono variare i valori dell’emoglobina. Imparando a riequilibrare autonomamente le nostre energie, impariamo a ripulire noi stessi interiormente. Persone che hanno grandi preoccupazioni, conflitti, nevrosi, si alleggeriscono, si assestano, si riorganizzano. Ricreano un equilibrio che non è statico, pesante, ma dinamico, pronto al cambiamento. Non sto dicendo naturalmente che questo sia sufficiente: siamo esseri pensanti, abbiamo mente, intelletto, affettività. Dobbiamo tenere conto di tutti questi aspetti. Altrimenti rischiamo, rovesciando la prospettiva, di ricadere nell’errore di parte della medicina occidentale che identifica l’uomo con l’organismo.
La medicina occidentale si basa su risultati misurabili e comparabili… Apparentemente.
Prego?

« Apparentemente misurabili, perché sempre basati su statistiche. La scienza non dà verità perfette. C’è comunque un grado di approssimazione.

Comunque, in base a quali risultati può essere giudicata valida la terapia che propone?

Come tutte le pratiche, ha successo quando una persona riesce a vivere bene con la propria condizione. Freud diceva: quando può amare e lavorare. Mettiamola così: è verificabile che l’aspirina fa passare il mal di testa…
Ma il mal di testa può essere messo in discussione. La percezione del dolore è soggettiva. Ci sono fenomeni che verifichiamo, ma non sappiamo spiegare. Per esempio, l’ipnosi altera le reazioni dell’organismo. Puoi appoggiare una sigaretta accesa a una persona sotto ipnosi senza procurarle dolore. Lo spirito è un livello superiore a quello in cui si esprime la presenza fisica dell’organismo. Ecco perché se lavoriamo a livello spirituale otteniamo un effetto a cascata suoi livelli inferiori.

Ma in che maniera una terapia energetica può giovare, per esempio, a un malato di cancro? 

Questo dipende molto dalle condizioni. Il terapeuta può contribuire a contenere le ansie di un malato di cancro. Deve cercare di riportarlo a una dimensione, cioè a vedersi nella sua interezza: non è solo corpo, né solo psiche. Se hai un tumore e identifichi te stesso col corpo sei già morto. Una visione positiva può ostacolare lo sviluppo della malattia e comunque aumentare il livello di serenità.
Questo implica proporre al paziente una fede in una vita oltre il corpo?

Non posso proporre al paziente una fede, se non nel senso di fiducia in se stesso. Gli propongo strumenti per lavorare con le proprie strutture mentali. Gli dico: impara a prenderti cura di te stesso. Perché gli atteggiamenti mentali contrastano o favoriscono la guarigione. Di qualunque patologia soffra il paziente, se venisse risanato da Mago Merlino con un colpo di bacchetta magica, ma poi non cambiasse schema comportamentale, dopo qualche tempo si ritroverebbe punto e a capo.

Nunez del Prado teorizza per i prossimi anni il ritorno di uno spirito superiore, l’apparizione di potenti guaritori. Lei sottoscrive anche questo, o solo le pratiche di meditazione? 

Queste sono tradizioni andine. Per quel che ho visto sinora, le sottoscrivo. Le ho sperimentate. Ciò che c’è oltre è un problema che non mi pongo. Ognuno ha la sua visione del mondo, ma Dio è unico. Ai livelli più elevati tutte le pratiche mistiche, quelle cristiane, il sentiero andino, lo yoga, la via dei Sufi islamici, parlano lo stesso linguaggio. Pongono un solo vincolo: mettono in discussione gli estremismi, le pretese di avere una verità esclusiva, i sensi di colpa che bloccano gli esseri umani.

Daniela Pinna

(L’Unione Sarda del 20/12/2000)

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