(INTERVISTA AD UN FACILITATORE)
Psych-k, le terapie e la mia lunga battaglia verso la libertà
Psych-k e la mia lunga battaglia con la depressione: cosa ho compreso su crisi, malattie e problemi. E su quali sono gli approcci più utili.
Mi sembra giusto pubblicarla ora, in vista dei prossimi appuntamenti con Psych-k e Antonio Pala: la conferenza del 22 gennaio e il seminario del 4-5 febbraio
Cosa c’entra la tua storia con Psych-k?
La mia storia personale è una testimonianza a favore dei concetti su cui si fonda Psych-k, nonché a favore del metodo stesso. Su internet ho confessato spesso il mio passato non proprio facile; devo dire che questo mio outing a qualcuno non è piaciuto.
Qualcuno ti ha criticato di farti pubblicità utilizzando colpi di scena…
Chi racconta disagi e problemi può anche non risultare simpatico, infastidire; qualcuno può percepire un outing come trash… comprendo.
Ma è una vecchia tradizione culturale del nostro paese, uno standard: quello di squalificare, o di guardare con sospetto, di non fidarsi. O magari può esserci un atteggiamento aristocratico: io non apparterrò mai a nessuna aristocrazia del pensiero. Sono molto popolare in questo.
Ma poi in fondo, le persone hanno bisogno di esprimersi. Anche una critica o un giudizio è un modo per farlo.
Comunque, se anche una sola persona su 100 dovesse trarre fiducia, informazioni e ispirazione da una piccola testimonianza, va bene.
Cosa ti è capitato, per quale motivo hai conosciuto Psych-k?
Sin dall’adolescenza, sofferenze, fallimenti e disagi mi segnalavano chiaramente che c’era qualcosa che non andava.
Poi, specialmente a partire dai miei 28 anni, episodi più o meno intensi di depressione, angoscia e ansia, nonché dolorosi attacchi di panico, mi hanno spinto a chiedere aiuto a psicologi, psichiatri, neurologi, terapeuti.
Cosa accadeva, la terapia falliva?
Se tutto andava bene, dopo i primi sei-sette mesi di trattamento, un bel giorno uscivo fuori dallo studio e non tornavo più. Più passavano gli anni, più collezionavo fallimenti terapeutici, più aumentava il dolore e il senso d’impotenza.
Una parte di me aveva un disperato bisogno; un’altra parte era come se cercasse la sfida con lo specialista di turno.
Ero diventato un esperto della sfida con il terapeuta: qualche volta, appena entravo in uno studio, riuscivo a tratteggiare la mia storia, l’anamnesi e l’eziologia, nonché il curriculum dei tentativi terapeutici falliti, in meno di 45 minuti, anche con un certo orgoglio… Ero apparentemente collaborativo e disponibile, peccato che ero inconsciamente “programmato” per condurre la relazione terapeutica al fallimento.
Questo è successo per quanti anni?
Circa venti… Il grado di penalizzazione a livello pratico, per la mia vita, è stato così pesante, in ogni campo, che non esagero se dico che è stato come rimanere “surgelato” per decenni… surgelato a livello personale e sociale, malgrado mi dimenassi con forza: sfibrante.
Considera anche che ero da sempre stato affamato di conoscere, di scoprire, di Saperi, di esperienze; sia del genere psicologico-motivazionale, sia di quello esoterico-spirituale …
Come è capitato a tanti, la libreria si riempiva, il curriculum pure; inoltre mi capitava di conoscere guide, maestri, gruppi… Ma questo peggiorava la frustrazione e il disagio.
Poi, cosa è successo? Hai scoperto psych-k?
No, non subito. L’ultimo episodio fu quello più aggressivo e duraturo, un momento di disperazione e di buio totale; ma ho avuto la fortuna di incontrare un coach che con rara sensibilità ha trovato una chiave per entrare nel “sistema”…
Ogni sistema, anche il più inespugnabile ha le sue chiavi: certamente ci vogliono doti terapeutiche non comuni per trovarle. E c’è bisogno anche di reale empatia, accoglimento, flessibilità professionale, passione creativa…
Da lì comunque ho cominciato a smontare il mio approccio alle cose e ai significati stessi di quello che stavo vivendo: la mia stessa struttura dell’esperienza (per utilizzare un termine caro alla pnl) cioè tutto il meglio che la mia coscienza aveva potuto fare crescendo, nel mio ambiente familiare, aveva prodotto una Mente specializzata nel creare sofferenza e fallimento.
E’ stato l’inizio di una progressiva liberazione da una “prigione”, che ormai sembrava appunto inespugnabile.
Impressionante: parli di prigione…
In generale credo che abbiano ragione i grandi dell’evoluzione spirituale, tutti coloro che affermano che “l’uomo dorme, che è in uno stato di apparente veglia”; anche nel cinema cult, Morpheus, il leggendario personaggio di Matrix, ricordi? quando dice:
“la verità è che sei uno schiavo Neo, come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore, una prigione per la tua mente”…
Il punto è che chi vivacchia bene, forse sarà anche prigioniero, o dormiente, ma dorme sonni più o meno tranquilli… E’ una vita che va senza dubbio un po’ più liscia. Salvo magari quando arriva uno shock potente che ti scuote: crisi relazionale, malattia, problemi al lavoro. Allora, qualche problema te lo poni, forse…
Ma quando sei messo parecchio male e questa sensazione informa tutta la tua esperienza, da bambino; quando ti senti prigioniero da quando ti svegli…allora la terra ti brucia sotto i piedi 24 ore su 24.
Anche ad una festa, anche ad bellissimo party all’aperto, anche durante la più bella storia d’amore, o il miglior viaggio della tua vita, magari fuori ridi, ma dentro di te continua a suonare l’allarme… La tensione è costante: hai bisogno di scappare, di nasconderti, come quando sei in guerra e c’è un bombardamento in corso; ma per quanto ti affanni, ti muovi, cambi lavoro, casa o partner…non puoi fuggire da te stesso.
Anche questo mi ricorda un film bellissimo, Kung-fu Panda; quando il protagonista, che è goffo e sovrappeso, chiede sconsolato al suo Maestro: “Come faccio a non essere Me stesso?”.
Cosa hai scoperto quindi?
Premetto che il mio approccio è molto pragmatico: tutto quello che funziona, va bene.
Farmaci azzeccati, percorsi terapeutici, trattamenti che danno risultati, ecc. tutto va bene se ci aiuta a trovare una tregua e a stabilizzarla.
Poi, per proseguire nella metafora, occorre “ricostruire strade e case”; è fondamentale cambiare approccio nei confronti del disagio stesso; che non è il nemico, ma è solo l’allarme. Come una sirena anti-bombe. Il problema non è la sirena, ma gli arei che stanno per sganciare le bombe.
Il sistema sta solo lanciando un segnale estremo che richiede – diciamo così – una nuova politica, più sostenibile; un aggiornamento, un “alleggerimento”, più flessibilità operativa.
Ogni crisi ci dice che abbiamo bisogno di cambiare: di preferire sistemi di credenze alternativi, più utili; di trovare paradigmi più efficaci, più fluidi, più leggeri.
Anche la crisi sociale-economica che stiamo vivendo ha questa funzione:il problema non è la crisi, ma le nostre teste, il nostro modus vivendi, come sentiamo e pensiamo la vita. La crisi ci sta dicendo a squarciagola che così come viviamo e vediamo la realtà ci crea problemi, non crea opportunità.
Quando cambi i tuoi sistemi di credenze ed espandi le tue visioni, cambi il modo di guardare e interagire con la realtà. Dunque, SEI in un’altra realtà. E crei un’altra realtà. Su questo non c’è dubbio.
Ecco perché prendersela con gli eventi esterni, con le persone o con le situazioni è la cosa che più ci allontana dalla soluzione.
Insomma, bisogna prima di tutto aggiornare la mente, alleggerirsi…
Sai, mi piace tanto un’immagine: quella del surf.
Hai visto come scivolano sulle onde, i surfisti? Tutto è così fluido, immediato, leggero; c’è potenza muscolare, ma c’è anche grazia, c’è una concentrazione eccezionale, c’è l’intenzione potente verso l’obiettivo, ma non c’è aspettativa, non c’è pretesa.
E’ un po’ come l’arte, o la poesia, o l’arte marziale: sei qui, ora, completamente. Un Adesso infinito.
Ecco, questo per me è vivere. Meglio imparare a surfare leggeri sulle onde della realtà, piuttosto che stare su una vecchia nave che affonda…
Proprio perché la realtà è fatta di onde, letteralmente. E bisogna allenarsi ogni giorno. Non puoi pensare di surfare le onde, senza un’intenzione precisa e forte, né senza pratica quotidiana.
Ma come farlo? Specialmente in questo momento così duro per tutti? Per esempio, che senso ha dire 100 volte: “sono felice, ho successo, sono ricco”, se tutto attorno a te crolla e se l’economia va a picco?
Beh, della crisi, ne parliamo poi… Comunque, guarda, sono pienamente d’accordo. Con me il pensiero positivo non serviva a niente.
Tanto meno la visualizzazione creativa, di cui parlano quasi tutti i grandi autori del cambiamento.
Ho capito perché la pratica di affermazioni positive, o di visualizzazioni, può non produrre alcun risultato positivo…anzi, può perfino peggiorare le cose, scatenando il cosiddetto effetto paradossale.
Per persone particolarmente “addestrate” alla sofferenza sin dall’età prenatale, con famiglie d’origine in cui predomina il pessimismo, l’ansia, l’angoscia… come la mia…per queste persone avvengono reazioni contrarie, dette anche paradossali.
In questi casi, dire “Sono felice e sono amato”, può scatenare reazioni molto forti di tristezza, angoscia, ansia, pessimismo. Le memorie cellulari sono fisiche, organiche, possono essere davvero inespugnabili.
Ad esempio, in caso di bassa autostima, prova a scrivere sul tuo taccuino e a ripetere più volte: “mi piaccio e valgo molto”… Se sei fortunato, l’effetto durerà fino alla sera. Quando ti sveglierai, il giorno dopo, è molto probabile che dovrai ricominciare da capo… e che starai addirittura peggio.
Bruce Lipton, nei suoi dvd spiega molto bene questo fenomeno con una felice metafora. Ci chiede: “è possibile riuscire a fermare un dispositivo audio, come un I-pod, semplicemente gridandogli: fermati!, fermati! Voglio che ti fermi?”…
Certamente no: non accadrà proprio nulla. Sappiamo che dobbiamo accedere ai comandi del dispositivo per dare lo “stop”.
Lo stesso avviene per la nostra mente inconscia: abbiamo bisogno di parlare il linguaggio dell’inconscio per accedervi, abbiamo bisogno di utilizzare il programma e i comandi appropriati per sciogliere certe credenze limitanti dell’individuo.
Quindi non sei un entusiasta del pensiero positivo? Della terapia del sorriso? Della gratitudine anticipata?
Credo siano strumenti importanti.
Ridere è una medicina, come testimonia il più famoso caso di tutti i tempi di guarigione da una malattia irreversibile: mi riferisco a Robert Cousins, che sopravvisse ad una spondilosi terminale ridendo.
Anche un sano ottimismo predispone le situazioni al meglio; questo è semplice e comune buon senso.
La gratitudine anticipata è, in tutte le culture, un fondamento dell’arte di vivere felicemente e raggiungere i propri obiettivi. Recentemente il miglior contributo in questo senso è arrivato da Fabio Marchesi, con il suo “Grazie”.
Sono tutti strumenti che ci aiutano; solo che occorre un reale coinvolgimento emotivo, altrimenti…
Inoltre credo che ognuno debba trovare il suo personale mix, ogni giorno, ogni secondo, pur avvalendosi di strumenti, metodi, percorsi, conoscenze, protocolli, progressi scientifici.
Perché sei tanto convinto riguardo all’efficacia di Psych-k?
Perché l’ho provato per le mie situazioni, per i miei obiettivi, per le mie sfide…Perché scaturisce da venti anni di ricerche sul campo, perché con il fondatore Robert Williams ha collaborato Bruce Lipton, il padre della nuova scienza, il biologo che ha divulgato alle grandi masse concetti che possono rivoluzionare la vita di una persona…
Psych-k permette proprio quell’interazione con la nostra mente inconscia, che manca in altri metodi; e fino a qualche anno fa, ciò era possibile solo in maniera molto faticosa e dispendiosa, grazie all’ipnosi terapeutica.
Lo spiegherà meglio Antonio Pala, il 22 gennaio; ci vediamo tutti lì.
psych-k è la nosta salvezza:”ci stiamo sintonizzando sul ritmo della riconnessione,è la trasformazione.”
domenica